Approfondimenti: il Supercondominio

19.07.2018

Avv. Marcello Giglio

Comunione di beni, Condominio e Supercondominio: tre realtà a confronto

Se il Supercondominio rappresenta una forma di comunione o di condominio

Sommario: Premessa. §1. Le norme di riferimento. §2. La ricerca del criterio di distinzione tra comunione e condominio. §3. La relazione di accessorietà. §4. I punti salienti del differente regime. §5. Le dimensioni: dal condominio minimo al Supercondominio. §6. Gli organi del Supercondominio: l'amministratore e la sua legittimazione.

Premessa. Con la legge 11 dicembre 2012, n. 220, entrata in vigore il 18 giugno 2013, è stata modificata la disciplina del condominio negli edifici. Numerose e di rilievo le novità introdotte, anche se non è mancato chi ne ha fornito una lettura critica, rimpiangendo il mancato intervento innovativo in questo o quell'aspetto della normativa previgente (ad es., il riconoscimento di soggettività giuridica o le modalità di recupero dei crediti; la disciplina del condominio parziale e di quello minimo).

Non è di certo questa la sede per la disamina di tutte le novità introdotte con la citata novella; ci si limiterà a riferire dell'introduzione nel codice civile dell'art. 1117 bis, avvenuta con l'art. 2 della citata l. 220/2012, che, recependo i principi coniati dalla giurisprudenza, ha esteso l'applicazione delle norme sul condominio a realtà (solo apparentemente) differenti.

1. Il Supercondominio è implicitamente contemplato nell'art. 1117 bis del codice civile che, nel disporre che le norme del Capo II (Del condominio negli edifici) del Titolo VII (Della comunione) del Libro Terzo (Della proprietà) si applicanoin quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117, rende chiaro che trattasi di una tipologia di condominio.

Più precisamente, la disamina letterale (1) mostra come la norma, che si astiene dal dettare la definizione del Supercondominio (2), richiede che vi siano parti comuni ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., e che tale comunanza riguardi parti accessorie (nel senso che sarà infra illustrato) a più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomìni di unità immobiliari o di edifici; al ricorrere di tale evenienza, a tali parti comuni sarà applicabile l'intero blocco (o quasi, stante l'inciso, nel testo della norma, in quanto compatibile) della disciplina dettata per il condominio negli edifici.

Ma se questa è la portata dispositiva dell'art. 1117 bis cod. civ.; se, in buona sostanza, il Supercondominio è sottoposto alla stessa disciplina del condominio; quale è stata allora la ragione del suo riconoscimento in una apposita disposizione del cod. civ.?

La soluzione al quesito è data dalla stessa norma, là dove, prevedendo che anche alle fattispecie di Supercondominio si applicano le norme sul condominio negli edifici, esclude per converso che alle parti comuni, che siano comuni a più condomìni, si applichi la disciplina sulla comunione (3), con tutto ciò che ne consegue.

Anche l'art. 67 delle disposizioni di attuazione si occupa, al terzo comma, del Supercondominio, stabilendo le modalità di partecipazione alla relativa assemblea; i precedenti artt. 61 e 62 rilevano invece in quanto, disciplinando - anche nel periodo anteriore alla riforma, quando del Supercondominio non vi era alcun riferimento nei testi di legge, neppure implicito - l'ipotesi della scissione del condominio in più edifici autonomi, contribuivano a dare fondamento, in via di interpretazione estensiva e/o analogica, alla fattispecie del Supercondominio (4).

Non va infine sottaciuta la riforma della magistratura onoraria, introdotta con il D. Lgs. 116/2017, il cui art. 27 (destinato ad entrare in vigore, in parte qua, il 31.10.2025) ha previsto la modifica dell'art. 7 del cod. proc. civ., disponendo la devoluzione all'Ufficio del Giudice di pace delle controversie in materia condominiale, fatta salva l'obbligatorietà dell'espletamento preventivo della mediazione ex D. Lgs. 28/2010.

2. Più d'una, e tutte di notevole rilevanza, le differenze tra il regime normativo della comunione ordinaria e quello del condominio negli edifici: solo a titolo esemplificativo, può menzionarsi la previsione dell'indivisibilità, che per la comunione ordinaria prevede il divieto di pattuizione di durata superiore ai 10 anni, pena riduzione a tale limite massimo dei termini pattuiti in eccesso (art. 1111, secondo comma, cod. civ.); nel caso di beni facenti parte di condominio, invece, l'art. 1119 stesso codice sancisce che le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, se non a determinate condizioni (5) e, comunque, per l'eventuale divisione è richiesta l'unanimità di consensi dei condòmini.

In realtà, da un attento esame delle norme sul condominio negli edifici si evince che le differenze rispetto alla comunione sono molteplici e tutte di massima rilevanza.

La premessa necessaria è che si tratta in entrambi i casi di situazioni di contitolarità di diritti su beni e che il condominio rappresenta una specie del genere comunione; poi, constatato che per i beni condominiali la necessità dell'attività di amministrazione si pone in termini più stringenti rispetto a quelli oggetto di comunione ordinaria, si tiene conto che del rapporto di genere a specie (6) è in ogni caso riprova nell'ordinamento giuridico.

In questa sede la distinzione tra l'uno e l'altro istituto sarà vagliata non considerando il condominio e la comunione quali entità collettive o pluripersonali, ma semplicemente partendo dai beni che formano oggetto dalla situazione di contitolarità: se il bene comune è oggetto di una comunione ordinaria di diritti o di un condominio, con uno sguardo al Supercondominio, ritenendo comunque che, in definitiva, quando si parla di condominio, in realtà il riferimento giuridico è ai beni in condominio.

La necessità di ricercare il tratto distintivo si pone in quanto non sarebbe sufficiente fare riferimento alla presenza di beni in un edificio: in taluni particolari ipotesi, infatti, può assistersi, pur in presenza di un edificio comprendente beni condominiali, alla sussistenza di ulteriori beni comuni assoggettabili al regime della comunione ordinaria; quindi, non è la presenza dell'edificio a dare la certezza che i beni comuni siano in regime condominiale piuttosto che in comunione. Neppure quello relativo alla collocazione può fungere da criterio discretivo, atteso che non può indurre in errore sulla natura del diritto (di condominio o di comunione) la mera collocazione del bene o dell'impianto rispetto all'edificio (7).

Una evidente ed elementare distinzione è data dal fatto che la comunione ordinaria può essere volontaria, legale o incidentale, mentre nel caso del condominio la contitolarità è e può essere solo legale e necessaria; la necessarietà della comunione di tipo condominiale è poi irrobustita dalla non rinunciabilità e dalla indivisibilità, se non entro gli stretti limiti dettati dalle norme sul condominio (8).

Per quanto rilevante, tale distinzione attiene pur sempre alle divergenze di disciplina, più che agli elementi costitutivi dell'una o dell'altra fattispecie.

Prima di analizzare l'elemento ritenuto decisivo, si deve por mente alla circostanza ulteriore che un determinato bene possa non essere affatto comune e quindi risultare non soggetto alle norme sulla comunione ordinaria e neppure a quelle sul condominio negli edifici.

È il caso dei beni che, pur non essendo fisicamente ricompresi all'interno di alcuna unità immobiliare in proprietà esclusiva, non siano comuni ai condòmini in quanto riservati al dominio esclusivo di uno di loro.

Tale situazione, espressamente prevista dall'art. 1117 cod. civ., là dove fa salva, per i beni ivi elencati, la prova contraria alla contitolarità che risulti dal titolo, determina che in definitiva il bene rappresenti pertinenza di un bene in proprietà esclusiva di uno tra i condòmini (9).

In tal modo, in base al titolo non solo si possono risolvere i casi concreti in cui sia controversa la proprietà (esclusiva o comune) del singolo bene, determinando se il diritto di usare il bene è di un singolo (10) o della collettività dei condòmini ma, al tempo stesso, si ricava l'elemento che consente di riconoscere i beni condominiali: banalmente, l'essere soggetti ad uso comune ai proprietari delle unità immobiliari facenti parte dell'edificio condominiale (ciò che, come si vedrà a breve, integra il concetto di accessorietà), atteso che ove, al contrario, l'uso non fosse comune ma riservato in via esclusiva (in virtù del titolo) ad un condomino, essi risulterebbero beni non condominiali.

3. Ciò che, appunto, si ritiene decisivo è che mentre la comunione ordinaria è la situazione in cui più soggetti sono titolari di un medesimo diritto reale, di norma, diritto di proprietà, sullo stesso bene; i partecipanti alla comunione sono detti comunisti (11), nel caso del condominio, di contro, vi è un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà (12).

Per inciso, si richiama l'attenzione sul concetto di uso comune: premesso che l'uso comune è la caratteristica che accomuna le tre categorie di beni oggetto di proprietà comune di cui all'art. 1117 cod. civ. (che infatti menziona l'uso comune ai numeri 1, 2 e 3 del primo comma), esso non richiede necessariamente che tutti i contitolari diano luogo, di fatto, al contestuale godimento del bene accessorio (13); esso ricorre anche quando vi è la potenzialità di esso, cioè la destinazione all'uso comune. Allo stesso modo, il non fare uso del bene non implica, per il condomino, perdita del diritto (14), e perché all'opposto possa verificarsi l'usucapione in favore di altro condomino che di fatto faccia uso esclusivo del bene comune, occorre un mutamento della relazione tra i proprietari ed il bene, sì che uno prende a possedere in modo da escludere gli altri (15) e ponga in essere il godimento del bene stesso attraverso un proprio possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare l'inequivoca volontà di possedere come se fosse il proprietario esclusivo e non più come se fosse un semplice condomino. Non è sufficiente insomma la prova del mero "non uso" di quel bene da parte degli altri condòmini (16). La possibilità per il singolo di usucapire un bene condominiale è quindi soggetta alle stesse condizioni previste per i beni oggetto di comunione ordinaria, non ravvisandosi sul punto sostanziali divergenze (occorre cioè che il contitolare si comporti non più uti condominus, bensì uti dominus, escludendo, con il mutamento del titolo del suo possesso, gli altri dal godimento del bene comune).

L'uso comune del bene condominiale è tutelato dall'ordinamento anche sotto altro profilo, con due diverse norme, aventi però presupposti ed ambito di applicazione differenti: gli artt. 1102 e 1120 cod. civ. Infatti, fermo il tratto comune dell'elemento obiettivo consistente nella trasformazione della "res" o nel mutamento della destinazione, la prima norma - che consente al singolo comunista di apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa - è dettata per la comunione ordinaria, ma viene ritenuta applicabile anche ai beni condominiali; la seconda - in cui viene in rilievo l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei partecipanti, espresso da una deliberazione dell'assemblea - è invece specifica e limitata ai detti beni condominiali, prevedendosi che i condòmini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.

La norma, riformulata in modo da tener conto anche dell'evoluzione tecnologica e delle più sofisticate esigenze dei residenti (nel qual caso il quorum deliberativo richiesto è più basso) (17), prevede che, in punto di innovazioni, le decisioni vengono adottate a maggioranza e sono vincolanti per tutti i condòmini, ancorché dissenzienti.

Tuttavia, si osserva in primo luogo che alcune innovazioni restano vietate per legge (ultimo comma dell'art. 1120 cod. civ.): trattasi di quelle che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. Viene così preservato il diritto di ogni condomino all'uso ed al godimento dei beni condominiali, di guisa che nessuna innovazione potrebbe mai essere considerata lecita se privasse anche un solo condomino della possibilità di continuare ad usare di quel bene comune; ciò offre, sotto il punto di vista della tutela legale del diritto di usare e godere del bene comune, ulteriore conferma del ruolo centrale, anzi fondamentale, che la possibilità reale di uso, da parte di tutti i condòmini, del bene comune, rende questo condominiale; ovvero che, in altre parole, il bene comune, accessorio alle unità immobiliari in proprietà privata, è condominiale se di esso ne è di fatto possibile l'uso da parte di tutti i condòmini, il che implica anche l'obbligatorietà della partecipazione alla relativa spesa.

Inoltre, a mitigazione del rigore del regime che, nel caso di innovazioni, fa soggiacere alle scelte della maggioranza il condomino dissenziente, è previsto che questi possa sottrarsi all'obbligo di partecipare alla spesa alle seguenti condizioni:

- che il condomino dissenziente ne faccia richiesta;

- che il bene o l'impianto sia suscettibile di utilizzazione separata;

- che la spesa risulti voluttuaria (priva di utilità) oppure molto gravosa economicamente (18).

Tale facoltà gli è riconosciuta dall'art. 1121 cod. civ. che addirittura prevede che, ove non sussista la possibilità di utilizzazione separata, il dissenso potrebbe persino impedire la realizzazione dell'innovazione. Tale evenienza si verificherà a meno che gli altri condòmini, che l'innovazione vogliono, si facciano carico per intero della spesa ed il dissenziente resterà escluso dal godimento del bene innovato.

Inoltre, il potere dell'assemblea di deliberare a maggioranza le innovazioni sui beni condominiali non giunge sino al punto di consentire la soppressione del bene comune: fattispecie, del tutto differente da quella della trasformazione che è insita nell'innovazione, che richiede l'unanimità dei consensi.

Con la riforma è stata introdotta anche la nuova disciplina di quella forma di innovazione dei beni condominiali che si risolve nel cambio di destinazione d'uso, separando tale fattispecie da quella invece ravvisabile a fronte di trasformazioni materiali del bene, di cui continua ad occuparsi l'art. 1120; il cambio di destinazione d'uso è di competenza dell'assemblea, ma è richiesta una maggioranza particolarmente elevata (art. 1117 ter cod. civ.), più elevata di quelle previste per le ipotesi di innovazioni ex art. 1120.

Il successivo art. 1117 quater invece disciplina le modalità di tutela 'interna' al condominio avverso violazioni consistenti in attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni.

Per comprendere quando ricorre un caso di innovazioni e, quando, invece, vengono in gioco le semplici modificazioni, può farsi riferimento a quanto chiarito dalla Suprema Corte, secondo cui le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c. c. (19), cioè non impedire agli altri di farne pari uso.

Ciò premesso sull'uso del bene comune, va riconosciuto valore meramente descrittivo alla classica (20) definizione giurisprudenziale secondo cui il condominio è un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica; e, al tempo stesso, la relativa nozione non è presente nel codice civile che, invece, dispone che beni condominiali sono, salvo che il contrario risulti dal titolo, quelli elencati nell'art. 1117 (elencazione non tassativa (21).

La mancanza nei testi normativi della nozione del condominio non deve affliggere: la definizione risulterà superflua ove si acceda alla soluzione proposta nel presente elaborato, in cui si sostiene semplicemente da un lato che il condominio è un istituto giuridico derivato da quello della comunione di diritti reali, di cui è una specie e, dall'altro, che ciò che esiste è il bene in condominio, la cui amministrazione, la cui manutenzione ordinaria e straordinaria e le cui modalità di uso sono disciplinate dalla legge con norme ad hoc, salvo applicare, in difetto, quelle sulla comunione, come previsto dalla disposizione di rinvio (art. 1139 cod. civ.), ai sensi della quale <<Per quanto non è espressamente previsto da questo capo, si osservano le norme sulla comunione in generale>>.

Si ritiene pertanto opportuno evidenziare come del condominio (oppure, della fattispecie condominiale) siano elementi indispensabili:

- la pluralità (almeno due) di unità immobiliari in proprietà esclusiva (22);

- la pluralità (almeno due) di proprietari (nell'ipotesi di due soli condòmini, si parla comunemente di condominio minimo);

- alcuni beni che non siano in proprietà esclusiva di alcuno tra i proprietari delle singole unità immobiliari e che rappresentino parti comuni in regime di accessorietà rispetto ai beni in proprietà esclusiva.

A queste condizioni, è dato parlare di condominio, il cui oggetto sono i beni in comune (parti comuni nell'art. 1117 bis cod. civ.) che, però, devono necessariamente connotarsi dell'ulteriore detta qualità: l'accessorietà.

Può ritenersi che questa sia semplicemente la relazione che lega il bene in proprietà esclusiva (l'unità immobiliare facente parte dell'edificio) ed il bene condominiale, di guisa che sussiste e persiste un collegamento materiale e/o funzionale fra le proprietà individuali ed i beni comuni (23). Nozione di accessorietà ricavata dalla pronuncia (citata in nota) della Suprema Corte che chiarisce anche cosa debba intendersi per collegamento materiale e funzionale: quanto alla funzione, viene in rilievo il carattere complementare delle cose, degli impianti e dei servizi comuni rispetto ai piani o alle porzioni di piano, nel senso che se ne evidenzia la mancanza di utilità fine a se stessa, e la subordinazione strumentale delle parti comuni; quanto alla connessione materiale, si evidenzia che essa determina la mancanza di autonomia fisica dei beni, pur non escludendo il permanere della individualità giuridica (Cass. 14791/2003).

Tale decisione prosegue, nell'analisi dell'accessorietà, il ragionamento svolto in altra, precedente, pronuncia della Suprema Corte, secondo cui la relazione di accessorio a principale tra le parti di uso comune e le unità immobiliari, quando il titolo non dispone altrimenti, costituisce il fondamento tecnico per l'attribuzione ex lege del diritto di condominio (24).

Tale si ritiene pertanto essere il quid distintivo e qualificante: la relazione di accessorio a principale, che conferisce all'istituto condominiale la fisionomia specifica, per cui esso si differenzia dalla comunione e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo (25).

In tali termini, i beni condominiali sono soggetti all'uso comune dei condòmini, in quanto necessari all'esistenza stessa dell'edificio e delle unità immobiliari in proprietà esclusiva ovvero in quanto ad esse asservite per consentirne il godimento.

A ben guardare, al centro del ragionamento è sempre l'uso che, per quanto possa apparire superfluo ricordare, rappresenta il contenuto del godimento spettante al proprietario (oltre al potere di disporre della cosa, art. 832 cod. civ.).

Nel caso del condominio, i beni in regime di accessorietà con le unità immobiliari in proprietà esclusiva sono oggetto di contitolarità e pertanto la facoltà di godimento viene riconosciuta a tutti i condòmini; detta facoltà, come sopra accennato, viene tutelata dalla soppressione del bene e da alcune forme di innovazione, queste consentite solo alle condizioni di cui all'art. 1120 cod. civ., e dal cambio di destinazione d'uso, possibile solo alle condizioni di cui all'art. 1117 ter.

Tale conclusione sull'accessorietà dei beni comuni va completata con l'ulteriore riflessione sulle modalità della nascita del condominio: già detto che il condominio è una forma di comunione legale e necessaria, è stato anche coerentemente affermato che il condominio si costituisce, "ipso iure et facto", senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno di approvazioni assembleari, nel momento in cui l'unico proprietario d'un edificio frazioni in più porzioni autonome la cui proprietà esclusiva trasferisca ad una pluralità di soggetti od anche solo al primo di essi, ovvero ove più soggetti costruiscano su un suolo comune, ovvero ancora quando l'unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento che ad esso dà origine (26).

Pertanto, la fattispecie condominiale può dirsi integrata, con le parole della Suprema Corte, allorquando siano presenti due situazioni soggettive affatto dissimili: il condomino gode della piena ed esclusiva proprietà del volume costituito dalla propria unità (abitativa o meno); le parti comuni - cioè quelle che rendono indissolubile la struttura e ne assicurano la permanenza in vita (fondamenta, tetto, muri di chiusura, scarichi, ecc.) o che a questa sono asservite (corti, aiuole, accessi, recinzioni, ecc.) - sono soggette a comunione funzionale indissolubile. Per contro, nella comunione (situazione, questa, precaria, in quanto condizionata al non esercizio del diritto alla divisione da parte dei comunisti, salva l'eccezione di cui all'art. 1112 cod. civ.) il singolo comproprietario gode di una quota del tutto (27).

4. Ciò posto, punti salienti della differenza tra la disciplina dei beni in comunione e beni condominiali, sono:

  • organi di amministrazione. L'obbligatorietà della nomina dell'amministratore quando i condòmini sono più di otto, prevista dall'art. 1129, primo comma, cod. civ., laddove in caso di comunione ordinaria la nomina è facoltativa (art. 1106, secondo comma), spettando altrimenti a tutti i comunisti l'amministrazione della cosa (art. 1105). La necessità che la funzione di amministrazione, di fatto più accentuata in caso di condominio che di comune ordinaria, sia sempre attiva, implica in genere l'applicabilità dell'istituto della prorogatio all'amministratore dimissionario od il cui incarico sia scaduto, cosa che invece non accade nel caso di revoca ad opera dell'assemblea (28). Posto che compito essenziale è quello di amministrare, i poteri dell'amministratore del condominio, i suoi obblighi, tra cui quello di dare esecuzione alle delibere dell'assemblea dei condòmini (29)  e quello di riscuotere somme e di pagare le spese attraverso apposito conto corrente (30), e le sue responsabilità sono regolati dagli artt. 1129 ss. (31), i requisiti di professionalità nell'art. 71 bis disp. att. cod. civ.; eseguendo i pagamenti, l'amministratore procede quale organo del condominio che è ad ogni effetto sostituto d'imposta e quindi facendo sempre uso del codice fiscale del condominio, come ad esempio per le opere che danno diritto alle detrazioni fiscali (32). Nel caso della comunione ordinaria, i poteri dell'eventuale amministratore sono determinati in sede di conferimento della delega;

  • regolamento. Obbligatorietà della relativa adozione nel condominio cui partecipino più di dieci condòmini (art. 1138, primo comma, cod. civ.), facoltatività nel caso di comunione ordinaria (art. 1106, primo comma, cod. civ.). Il regolamento condominiale, che sia di origine contrattuale o assembleare, non può derogare a talune disposizioni del capo II, specificate nel penultimo comma dell'art. 1138, né quelle di cui all'art. 72 delle disposizioni di attuazione del codice civile, nemmeno ledere i diritti dei singoli e neppure vietare detenzione e possesso di animali domestici (33);

  • quote di partecipazione. Proporzionale al valore dell'unità immobiliare di proprietà del singolo condomino, salvo che il titolo non disponga diversamente (art. 1118, primo comma, cod. civ.). La proporzionalità però non si trasforma in maggior diritto nell'uso: il proprietario dell'appartamento più grande userà il portone di ingresso allo stesso modo del proprietario dell'appartamento di minor superficie. La quota si considera uguale, per presunzione semplice, nella comunione ordinaria (art. 1101 cod. civ.);

  • non rinunciabilità della quota (art. 1118 cod. civ.) (34), indivisibilità se non a determinate condizioni (art. 1119) (35)  e cedibilità solo insieme con il bene principale per i beni condominiali; rinunciabilità (art. 1104), divisibilità, comunemente detta comoda (art. 1111) e cedibilità della quota (art. 1103) per la comunione ordinaria;

  • partecipazione alle spese. In proporzione al valore della proprietà di ogni condomino, salvo diversa convenzione (art. 1123, primo comma, cod. civ., con il sistema delle tabelle millesimali), ripartizione di regola in quote eguali, per la comunione ordinaria. Nella ripartizione delle spese condominiali non si applica una sola tabella millesimale, ma più d'una, al fine di tener conto della differente misura in cui ogni condomino gode della cosa comune, evenienza che si verifica a fronte di parti comuni fruibili in modo diverso; in tal caso, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne: vengono così ad esistenza le tabelle per la ripartizione delle spese relative alla scala, all'ascensore, al riscaldamento se centralizzato, ecc.. Le tabelle millesimali dovrebbero essere allegate al regolamento di condominio (art. 68 disp. att. cod. civ.); la loro eventuale revisione avviene all'unanimità, tranne che in caso di errore o di mutamento delle condizioni (art. 69); esse comunque riproducono i valori corrispondenti alle quote di partecipazione alla contitolarità, non attribuendo ad alcun condomino diritti in più o in meno di quanto non abbia in base ai titoli di proprietà (36). Quando vi sia contestazione sulla ripartizione delle spese, va tenuta presente la distinzione tra violazione dei criteri legali, da un lato, ed errata applicazione in concreto, dall'altro: ha infatti affermato la Suprema Corte che deve ritenersi affetta da nullità (che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché abbia nella stessa espresso voto favorevole), e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall'art. 1137 c.c., la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell'interesse comune. Ciò, in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca (37). Solo a titolo esemplificativo, le spese per la coibentazione del fabbricato rientrano tra quelle a ripartizione proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive (38).

  • responsabilità per i debiti: parziaria, per i debiti del condominio (39), salva le particolari ipotesi di solidarietà disciplinate dall'art. 63, commi secondo, quarto e quinto, delle disposizioni di attuazione del codice civile. Nella prima di esse, è previsto che il creditore deve escutere prima il condomino moroso e, solo se persista l'impossibilità di ottenere il pagamento, potrà agire contro i condòmini in regola con i pagamenti; solidarietà nel caso di comunione ordinaria. A proposito della parziarietà dell'obbligazione assunta dal condominio verso terzi, il meccanismo processuale che sovente viene posto in essere dal creditore prevede la richiesta del decreto ingiuntivo nei confronti del condominio per l'intero importo; perdurando l'inadempimento, il creditore può agire nei confronti dei singoli condòmini, notificando loro il titolo ed il precetto ed escutendo da ciascuno la quota proporzionale e non l'intero. Quanto all'onere della prova, mentre al creditore spetta di provare la qualità di condomino del debitore, a questi - in sede di opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. - spetterà di provare che la quota a suo carico è inferiore a quella richiesta nei suoi confronti dal creditore (40).

La realtà presenta casi limite, nei quali la riconduzione di alcuni beni comuni al regime della comunione ordinaria od a quello del condominio può risultare controversa. Ad esempio, nel caso in cui l'unità immobiliare ricompresa in un edificio condominiale formi oggetto di comunione tra più proprietari, le obbligazioni relative al pagamento degli oneri condominiali sono solidali (regime della comunione ordinaria) o parziarie ? Per quanto allo stato l'orientamento prevalente, formatosi ante riforma, sembri essere quello che porta alla solidarietà (41), la questione potrebbe essere rimeditata alla luce del novellato dato normativo. Prevede infatti l'ultimo comma dell'art. 67 delle disposizioni di attuazione del cod. civ. (nel testo introdotto dalla L. 220/2012), che il nudo proprietario e l'usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all'amministrazione condominiale. Il dettato della norma, non derogabile con il regolamento di condominio ex art. 72 delle disp. att. cod. civ., è chiaro e perentorio: solo nel caso di usufrutto, opera la solidarietà, vincolando tra loro il nudo proprietario e l'usufruttuario. Peraltro, ove volesse riconoscersi prevalenza, per specialità, dei principi propri del diritto condominiale sul criterio generale di solidarietà passiva (ex art. 1294 cod. civ.) ciò risulterebbe in armonia con l'ordinamento, atteso che tale disposizione fa salva la diversa previsione (quindi, la parziarietà) della legge o del titolo: sul punto, è proprio la legge che, nell'interpretazione nomofilattica della Suprema Corte, considera parziarie, in quanto pecuniarie e dunque divisibili, le obbligazioni condominiali (Cass. SS. UU. 9148/2008, citata, che ha superato il precedente contrario orientamento).

Altre ipotesi sono quelle legate al trasferimento della proprietà del bene principali; tolte queste tre ipotesi, tutte contemplate nell'art. 67 disp. att. cod. civ., in tutti gli altri casi di coesistenza in capo a soggetti diversi di diritti aventi ad oggetto la singola unità immobiliare a sua volta facente parte di un condominio, la solidarietà andrebbe esclusa (42), dovendosi ritenere che i comproprietari dell'unità immobiliare siano tutti condòmini e in quanto tali assoggettati al regime della parziarietà, più favorevole e comunque generalizzato per le obbligazioni condominiali.

5. Ciò posto, le dimensioni del condominio variano da caso a caso, passando dal condominio c.d. minimo al c.d. Supercondominio.

La prima tipologia ricorre quando i condòmini sono soltanto due.

L'importanza nella presente trattazione del condominio minimo sta nel rilievo che esso concorre a fornire la descrizione della fattispecie condominiale: come si è visto, non importa che i condòmini siano due solamente; una volta che vi siano beni comuni in regime di accessorietà, funzionale e strumentale, rispetto ai beni principali in proprietà esclusiva (unità immobiliari), si è pur sempre di fronte a beni sottoposti alla disciplina condominiale, non assumendo rilevanza il numero dei partecipanti (43).

È stato poi precisato che al condominio minimo (44) si applicano le norme sul funzionamento dell'assemblea condominiale, fatto salvo che l'assemblea si costituisce validamente con la presenza di tutti e due i condòmini e all'unanimità decida validamente. Se non si raggiunge l'unanimità e non si decide, poiché la maggioranza non può formarsi in concreto, diventa necessario ricorrere all'autorità giudiziaria, come previsto dagli artt. 1139 e 1105 c.c..

Una figura intermedia può essere ravvisata nel condominio piccolo, quello cioè in cui i condòmini sono più di due e fino ad otto: in tale ipotesi, non è obbligatoria la presenza dell'amministratore e all'amministrazione delle cose comuni provvedono i condòmini (od uno tra loro) (45).

Nella vigente disciplina, il paradigma del condominio può comunque ritenersi quello costituito da undici o più condòmini; in tal caso, trovano senz'altro applicazione tutte le norme del Capo II (46).

Si configura condominio unico anche nel caso previsto e disciplinato dal terzo comma dell'art. 1123 cod. civ., nel quale il presupposto di base è l'unicità del fabbricato, seppur suddiviso in più parti: in tale ipotesi, nel linguaggio comune si parla di condominio parziale; in realtà, in tale ipotesi il condominio è soltanto uno, come uno solamente è l'edificio ma, al fine della ripartizione della spesa di manutenzione relativa ad opere od impianti destinati a servire solo un gruppo (e non la totalità) di condòmini, solo i proprietari delle unità immobiliari che ne godono vengono chiamati a sopportarne gli oneri (47).

Vi è poi il Supercondominio: premesso che esso può configurarsi in modalità affatto diverse (essendo state equiparate, con l'art. 1117 bis cod. civ., quattro fattispecie distinte: unità immobiliari; edifici; condomìni di unità immobiliari; condomìni di edifici) (48), resta il fatto che nella ricerca della fattispecie condominiale, la soluzione è vicina, di certo non per grandezza, a quella valida per il condominio minimo, posto che ciò che conta non è il numero dei condòmini, né la tipologia del bene principale, quanto sempre la relazione di accessorietà e l'autonomia dei singoli edifici.

Concetto ribadito anche in pronunce successive alla riforma, avendo la Suprema Corte affermato che il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all'art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell'art. 1117 c.c., con la riserva "se il contrario non risulta dal titolo". Anzi, la "condominialità" si reputa non di meno sussistente pur ove sia verificabile un insieme di edifici "indipendenti", e cioè manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui "un gruppo di edifici... si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi", sempre che "restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell'art. 1117 c.c." (49).

Il fenomeno del Supercondominio è presente, urbanisticamente parlando, nei centri abitati più affollati, dove cresce la grandezza delle concentrazioni abitative e ciò nel senso che non vi sono più solo singoli edifici, ma veri e propri complessi edilizi, che - pur nel rispetto degli standard urbanistici di presidio alla qualità della vita - sfruttano al massimo le potenzialità edificatorie.

Ciò che risulta acquisito, è che nel Supercondominio (50) la relazione di accessorietà con le cose, gli impianti ed i servizi elencati dall'art. 1117 cod. civ., intercorre con le unità immobiliari singole (case a schiera) oppure ricomprese in condomìni di unità immobiliari o di edifici legati tra loro, appunto, dall'esistenza di talune cose accessorie in comune. Come per il condominio singolo, anche per il Supercondominio le cose, gli impianti ed i servizi elencati dall'art. 1117 cod. civ. (comuni a più edifici e spesso esterni ad essi), sono pure necessari per l'esistenza e per l'uso ovvero sono destinati all'uso o al servizio delle unità immobiliari site nei diversi fabbricati, quando questi sono legati dallo stesso vincolo strumentale, materiale o funzionale (51).

Per inciso, può a questo punto tentarsi il raffronto tra i beni condominiali e quelli supercondominiali e domandarsi se tutti i beni che possono formare oggetto di proprietà comune per i singoli edifici, possano formare oggetto di proprietà comune tra più edifici.

L'art. 1117 bis cod. civ., infatti, rende applicabili le norme sul condominio sia nel caso del singolo edificio (c.d. condominio verticale) sia quando le parti comuni ai sensi dell'art. 1117 siano tali rispetto a più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici.

Non si può però non rilevare come non tutti i beni elencati nell'art. 1117 cod. civ., condominiali salvo che il titolo preveda diversamente, possano essere anche supercondominiali: la categoria di cui al n. 1) del primo comma include infatti quei beni che, per loro natura e funzione, possono essere comuni solo all'edificio in cui si trovano, anzi che concorrono a formare o che addirittura sono necessari all'esistenza stessa del singolo edificio.

Ciò appare incontestabile sol che si guardi al loro elenco: il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate. Per tali beni, l'accessorietà esiste e può esistere solo rispetto alle unità immobiliari site nel singolo edificio di cui fanno parte; un edificio che avesse alcune di tali parti in comune con un altro, non sarebbe autonomo dall'altro e non assumerebbe la consistenza di condominio a se stante; tanto meno potrebbe parlarsi di Supercondominio, dato che si avrebbe unico edificio ed unico condominio, con parti comuni.

Diversamente, le categorie di cui ai nn. 2) e 3) possono, a seconda dei casi, rapportarsi in termini di accessorietà e di uso comune all'edificio unico ovvero ad una pluralità di unità immobiliari (case a schiera) o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici. Nel primo caso, i beni saranno condominiali; nel secondo, supercondominiali, ben essendo possibile che, ad es., le aree a parcheggio, la portineria, gli impianti idrici e fognari, tutte le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, rappresentino parti comuni a più unità immobiliari, o a più edifici o a più condomìni di unità immobiliari o di edifici, sol che esse siano destinate all'uso comune dei proprietari delle singole unità immobiliari.

Sotto altro aspetto, la condominialità può riguardare anche i servizi che, in senso stretto, non sono beni ma formano comunque materia della gestione comune (stipula dei contratti, pagamento delle fatture) ed in ogni caso sono oggetto di fruizione collettiva: in tal caso, al diritto di proprietà comune sulle cose e sugli impianti destinati all'attuazione del servizio si ricollega per legge la comunione di godimento concernente il medesimo servizio, poiché anche il servizio raffigura un bene accessorio e funzionale al godimento dei piani o delle porzioni di piano (52). Inoltre, ai fini della configurabilità e della esistenza di un Supercondominio, è sufficiente la previsione, e lo svolgimento, di servizi comuni essenziali (53).

Presente la relazione di accessorietà, la conformazione dei luoghi può variare, senza che venga necessariamente meno la condominialità: nulla osta a che detta relazione sussista anche quando gli edifici, che abbiano in comune beni, impianti o servizi, non siano di per sé condomìni, essendo solo richiesto che siano autonomi, ex artt. 61 e 62 disposizioni di attuazione del cod. civ.; in tali casi, si viene a configurare un condominio di tipo orizzontale (il Supercondominio), composto di più edifici, questi ultimi di proprietà esclusiva o indifferentemente costituenti condomìni (54).

Per esser chiari: la figura del Supercondominio non è incompatibile con la contestuale esistenza dei condomìni autonomi, afferenti ai singoli edifici; al contrario, è certo che i singoli edifici, costituiti in altrettanti condomìni e regolati come condomìni autonomi, vengono a formare un Supercondominio quando talune cose, impianti e servizi comuni sono legati contestualmente, dalla relazione di accessorio a principale, con più edifici (come di solito accade per viale d'ingresso, per la guardiola del portiere e per il servizio di portierato) (55).

Quando al contrario manca la relazione di accessorietà, i beni comuni, per quanto si trovino nei pressi degli edifici e inframezzati tra beni condominiali, non saranno tali, ma soggetti alle norme sulla comunione ordinaria.

Ciò accade nel caso di piscine, dei campi da tennis, di spazi verdi: anche se nel comune parlare vengono spesso definiti "condominiali", tali beni non realizzano che una comunione tra i partecipanti al condominio, perché detti beni - per quanto rendano più amena la porzione di proprietà solitaria o ne possano accrescere il valore economico al di là del mero valore dell'impianto annesso - non risultano caratterizzati da quella relazione di accessorietà rispetto alla proprietà solitaria, e ben possono essere oggetto di godimento totalmente svincolato dal godimento di quest'ultima; non costituiscono parti necessarie per l'esistenza o per l'uso delle unità abitative, né destinate al loro uso o servizio. Senza le cose in comune, le costruzioni esisterebbero ugualmente e potrebbero essere utilizzate (56).

6. In ogni caso, anche il Supercondominio necessita dei suoi organi, in primis dell'amministratore (57), la cui nomina compete ovviamente all'assemblea cui devono partecipare i proprietari di tutte le singole unità immobiliari (che sono i partecipanti al Supercondominio in quanto proprietari, appunto, di unità immobiliari che hanno parti comuni con unità immobiliari site in altri edifici) e non agli amministratori dei singoli condomìni (58).

I rapporti tra gli amministratori dei condomìni singoli e l'amministratore del Supercondominio possono essere variamente configurati, restando inteso che, come è ovvio, ciascun amministratore è competente per i beni del condominio cui è preposto. Ciò implica che:

  • il soggetto legittimato ad agire in giudizio a tutela dei beni del Supercondominio, è l'amministratore dello stesso, mentre non lo sono gli amministratori dei singoli edifici condominiali (59);

  • per converso, l'amministratore del Supercondominio non è legittimato ad agire a tutela dei beni condominiali del singolo edificio (60).

Non può poi escludersi che la figura dell'amministratore del Supercondominio e quella dell'amministratore dei condomìni singoli sia rivestita dalla stessa persona. In tale ipotesi, è scontato che l'amministratore agisca, anche in giudizio, in nome del Supercondominio ovvero del condominio singolo a seconda che il bene (o i beni) siano comuni ai partecipanti al Supercondominio o, rispettivamente, al condominio singolo (61).

Avuto riguardo all'assemblea, quella del Supercondominio assume diversa composizione in funzione del numero dei partecipanti e delle materie poste all'ordine del giorno.

Prevede infatti l'art. 67 delle disp. att. cod. civ. che nei casi di Supercondominio in cui i partecipanti siano più di sessanta e si debba deliberare su gestione ordinaria delle parti comuni a più condomìni e per la nomina dell'amministratore, all'assemblea non partecipino tutti i proprietari delle unità immobiliari in proprietà esclusiva ma, previa designazione da effettuarsi con propria delibera assembleare a maggioranza qualificata, un rappresentante per ciascun condominio. In caso di inerzia nella designazione, si può procedere, ad iniziativa di anche uno solo fra i rappresentanti già nominati, dinanzi l'autorità giudiziaria che provvederà alla nomina ma previa diffida a provvedervi entro congruo termine.

(Avv. Marcello Giglio) (62)

1 Primo tra i criteri di interpretazione delle norme giuridiche: Secondo la Corte di Cassazione, è fondamentale canone di ermeneutica, sancito dall'art. 12 preleggi, che la norma giuridica deve essere interpretata, innanzi tutto e principalmente, dal punto di vista letterale, non potendosi al testo "attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse", pertanto, nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l'esame complessivo del testo, della mens legis, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma, così come inequivocabilmente espressa dal legislatore; soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, cosicché il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare. (Cass. 26 gennaio 2012, n. 1111).

2 Come, del resto, l'intero capo II^ rispetto al condominio. L'art. 1117 precisa invece cosa debba intendersi per beni condominiali, disponendo che i beni, le parti e le cose ivi elencate sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo.

3 Come talvolta, ma minoritariamente, è stato anche affermato: Cass. 20.6.1989, n. 2933. L'estensione al Supercondominio delle norme sul condominio negli edifici, attuata ante riforma in via di interpretazione estensiva od analogica, è frutto del recepimento normativo dell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, che ha preso atto della diffusione dei modelli urbanistici che contano sempre più edifici che si sviluppano in senso orizzontale e non solo verticale. Il fenomeno è ben descritto da Cass. 18.4.2005, n. 8066, secondo cui la nozione di condominio in senso proprio è configurabile non solo nell'ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale, ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente (come in particolare le cosiddette case a schiera), in quanto siano dotate delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 cod. civ.; peraltro, anche quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, non può essere esclusa la condominialità neppure per un insieme di edifici indipendenti, giacché, secondo quanto si desume dagli artt. 61 e 62 disp. att. cod. civ. - che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi - è possibile la costituzione "ab origine" di un condominio fra fabbricati a se stanti, aventi in comune solo alcuni elementi, o locali, o servizi o impianti condominiali. La pronuncia lascia spazio all'autonomia privata nella scelta della configurazione da dare all'amministrazione dei beni comuni (unico condominio oppure diversi condomìni ed il Supercondominio per i beni in relazione di accessorietà con i diversi fabbricati costituenti condomìni autonomi). Il condomino ha diritto di continuare a far parte di un condominio singolo, affiancato se del caso dal Supercondominio, opponendosi alla costituzione di un condominio unico: Cass. 28.10.1995, n. 11276, sopra citata, secondo cui va riconosciuto il diritto di ciascun condomino di far parte del condominio costituito dal solo edificio in cui è proprietario di unità immobiliare, sì che è nulla la delibera adottata da una assemblea di supercondominio, a maggioranza dei suoi componenti, che istituisce un unico condominio tra i vari edifici interessati (ipotesi inversa a quella di scissione, prevista e disciplinata dall'art. 61 delle disposizioni di attuazione), come nulle sono le delibere assunte successivamente da assemblee convocate come se esistesse un unico condominio, per deliberare su materie attinenti ai singoli fabbricati.

4 Vedi nota precedente e, infra, nota 22.

5 Sul diverso regime applicabile in punto di divisibilità ed indivisibilità e sulla correlata necessità di distinguere tra comunione ordinaria, da un lato, e condominio negli edifici (o supercondominio), dall'altro lato, si veda Cass. 11.6.1963, n. 1553 (in Foro It., 1964, I, 617), la più antica, per quanto è dato sapere, tra le decisioni del Supremo Collegio che abbiano pronunciato sul Supercondominio, fatto salvo che la stessa sentenza dà conto di proprie precedenti decisioni - non riportandone gli estremi - in cui rinveniva e riconosceva il Supercondominio in relazione ai cortili in comune tra più edifici costituenti ciascuno autonomo edificio. Più di recente, sulle modalità di divisione nel condominio, Cass. 28.10.1995, n. 11276 che, precisato che la disposizione di cui all'art. 61 disp. att. c.c. - la quale prevede la possibilità di scissione di un unico condominio originario in più condomìni, in base a deliberazione assembleare adottata a maggioranza - ha natura eccezionale, in quanto deroga al principio secondo il quale la divisione può essere attuata solo con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione, conclude affermando che essa non può essere utilizzata analogicamente per attuare l'inversa ipotesi di fusione in un unico condominio di più edifici autonomi.

6 Si veda l'art. 1139 cod. civ., che rinvia alle norme sulla comunione in generale, sì che per gli aspetti non disciplinati dal secondo capo, le norme sulla comunione si applicano anche al condominio negli edifici.

7 Cass. 3.10.2003, n. 14791 (che sarà nuovamente infra citata).

8 Su cui rispettivamente si vedano gli artt. 1118, secondo comma, e 1119 cod. civ..

9 In questo senso, Cass. 20712/2017, secondo cui, ove ciò risulti dal regolamento condominiale contrattuale (cioè contestuale alla nascita del condominio), il rapporto ha natura pertinenziale, essendo stato posto in essere dall'originario unico proprietario dell'edificio, legittimato all'instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, comma 2, e 818 c. c. Inoltre, la possibilità di ravvisare un tale titolo di fonte contrattuale, che attribuisca ad uno o a più condomini l'uso esclusivo di un'area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all'edificio di tutti i partecipanti, costituisce questione di interpretazione, ovvero di ricostruzione dell'esatta volontà negoziale dei condomini, e presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito.

10 Quando il punto sia controverso e penda giudizio per l'accertamento della proprietà comune od esclusiva di un bene, dev'essere disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, configurandosi un'ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo, unico e inscindibile (Cass. 5762/2013). Identica conclusione nel caso in cui si debba accertare la qualità di condomino, cioè se un'unità immobiliare in proprietà esclusiva faccia o meno parte di un condominio: Ove si intenda controvertere sull'esistenza, o meno, del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c. in ordine ad un'unità immobiliare di proprietà esclusiva integrante porzione di un complesso edilizio e, quindi, sulla ravvisabilità del collegamento funzionale e strutturale di tale proprietà individuale con le parti comuni dell'edificio condominiale di cui all'art. 1117 c.c., con conseguente obbligo di contribuzione alle spese ai sensi dell'art. 1123 c.c., è necessaria la partecipazione di tutti i condomini a ciascuna delle fasi del giudizio, in una situazione di litisconsorzio necessario (Cass. 3626/2018).

11 Semplice ma esauriente definizione fornita, previ opportuni cenni al diritto romano, da Avv. Flavia Severino, in COMUNIONE E CONDOMINIO - DIFFERENZE, https://www.avvocatocondominio.it/2017/08/01/comunione-condominio-differenze/.

12 Definizione del bene condominiale offerta da Cass. SS. UU. 31 gennaio 2006 n. 2046. In dottrina, ritiene più appropriato l'impiego del termine di coesistenza, Domenico Apicella, in BREVI CONSIDERAZIONI SULLA COSTITUZIONE E CESSAZIONE DEL CONDOMINIO, https://www.comparazionedirittocivile.it/prova/files/apicella_condominio.pdf.

13 Evenienza tra l'altro non sempre possibile: il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i partecipanti alla comunione, che resta affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza; che la nozione di pari uso del bene comune non è da intendersi nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini nell'unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze, si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine (Cass. 16 giugno 2005 n. 12873).

14 E neppure lo esonera dal pagamento delle spese: come affermato dalla Corte di appello di Torino con sentenza 805/2017, la circostanza che il singolo condomino, potendo usufruire della "parte comune" dell'edificio, di fatto non la utilizzi, non lo esonera dalla suddetta obbligazione: questa, infatti, trova la sua fonte nel diritto di comproprietà sulla parte comune (ex Cass. n. 3966 del 1984).

15 Cass. 6.10.2016, n. 20039: in tema di condominio, il condomino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso; a tal fine, però, non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall'uso del bene comune, bensì occorre allegare e dimostrare di avere goduto del bene stesso attraverso un proprio possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", senza opposizione, per il tempo utile ad usucapire.

16 Ancora Cass. 6.10.2016, n. 20039.

17 Ritiene che, con la riforma, il legislatore potesse fare di meglio, Pier Paolo Capponi, in LE INNOVAZIONI - DAL VOLUME "IL CONDOMINIO DOPO LA RIFORMA", che è possibile reperire in https://www.incondominio.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=1329:le-innovazioni-dal-volume-il-condominio-dopo-la-riforma&catid=67&Itemid=101.

18 Come illustrato da Paolo Giuliano in https://www.fanpage.it/quando-nel-condominio-l-innovazione-e-voluttuaria-o-gravosa/.

19 Cass. 20712/2017, sopra citata.

20 Parla di "un pacco così" di sentenze nelle quali si legge che il condominio è un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica distinta da quella dei propri partecipanti (cfr., tra le tante, Cass. 14 dicembre 1993, n. 12304), l'Avv. Alessandro Gallucci nell'articolo Personalità giuridica del condominio, nuovi contrasti in vista, in https://www.condominioweb.com/personalita-giuridica-del-condomini.11425#ixzz5Lh4sR8fb L'Autore dà conto anche dell'evoluzione giurisprudenziale sul punto, ricordando che la famosa (per via dell'affermazione dell'insussistenza della solidarietà passiva, verso i terzi, tra i condòmini) pronuncia a Sezioni Unite n. 9148/2008 ha manifestato più d'una perplessità su tale impostazione, evidenziando come il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell'interesse dei singoli partecipanti" (Cass. SS. UU. 9148/2008, cit.). Successive pronunce, meno popolari, hanno affermato che comunque è indubbio che il condominio, benché privo di autonoma soggettività giuridica, si configura come centro di imputazione di interessi diverso dal condomino (Cass. 6665/2009, citata nell'articolo) e che nuove incertezze possono derivare dalla riforma introdotta con la L. 220/2012. L'Autore conclude l'excursus richiamando anche Cass. SS. UU. 19963/2014, secondo cui vi sarebbero nell'ordinamento elementi che vanno nella direzione della progressiva configurabilità in capo al condominio di una sia pure attenuata personalità giuridica, e comunque sicuramente, in atto, di una soggettività giuridica autonoma.

In realtà, si può ritenere corretta l'impostazione seguita in Cass. 6665/2009 se si premette che la separazione soggettiva tra singoli condòmini e condominio risiede nell'oggetto: il secondo è centro di imputazione di interessi che afferiscono alle parti comuni, mentre il singolo condomino rispetto ai beni condominiali vanta un interesse non esclusivo.

Una raccolta di definizioni del condominio può essere letta in IL CONDOMINIO HA PERSONALITÀ GIURIDICA, dell'Avv. Flavia Severino, in https://www.avvocatocondominio.it/2017/08/02/condominio-personalita-giuridica/. Della stessa Autrice, COS'È IL CONDOMINIO?, in https://www.avvocatocondominio.it/2017/08/02/cose-il-condominio/, nonché, evidenziando l'assenza nel codice civile del 1942 di ogni definizione del condominio, CONDOMINIO - UN PO' DI STORIA, in https://www.avvocatocondominio.it/2017/08/02/condominio-un-po-di-storia/.

21 Cassazione 18 aprile 2005, n. 8066, tra le tante.

22 Nel significato che può trarsi dagli artt. 61 e 62 delle disposizioni di attuazione del cod. civ., cioè di edifici non formanti un unico strutturale. Tali disposizioni, nel consentire lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, pur continuando ad applicarsi alle parti comuni la disciplina condominiale, offrono lo spunto per ravvisare la condominialità anche in ipotesi di edifici indipendenti, eventualmente anche ab origine, l'uno dall'altro, come si verifica nel caso delle case a schiera in relazione a strutture portanti ed a impianti essenziali comuni (Cass. 18.4.2005, n. 8066). Tuttavia, la disposizione di cui all'art. 61 disp. att. c.c., prevedendo la possibilità di scissione, in base a deliberazione assembleare adottata a maggioranza, di un unico condominio originario in più condomini, ha natura eccezionale, in quanto deroga al principio secondo il quale la divisione può essere attuata solo per atto di un'autonomia privata, ovvero con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione (Cass. 21.6.2018, n. 16385).

23 Cass. 3.10.2003, n. 14791 e, tra le tante altre, 2.3.2007, n. 4973.

24 Cass. 7.7.2000, n. 9096. Con questa pronuncia, la Suprema Corte, oltre ad escludere la considerazione unitaria dell'edificio e delle parti comuni (sì che non può parlarsi di universalità di beni, ma di beni giuridici distinti) e ad affermare l'applicabilità delle norme del condominio anche al Supercondominio proprio in considerazione del fatto che la relazione di accessorietà può intercorrere tra i beni comuni ed anche più fabbricati indipendenti (e non solo tra i beni comuni ed il singolo edificio), precisa che sono beni condominiali quelli che siano accessori rispetto al bene principale (la singola unità immobiliare in proprietà esclusiva); pone poi l'accento sulla funzione strumentale. Nel caso di autonomia, viene meno l'accessorietà e quindi la condominialità del bene comune, che resta assoggettato al regime della comunione ordinaria. In buona sostanza, viene specificato che l'accessorietà, che rende condominiale un bene comune, presuppone che esso (cose, impianti e servizi di uso comune) non sia suscettibile di autonoma utilità. In definitiva, le disposizioni sul condominio disciplinano le cose, gli impianti ed i servizi che, non suscettibili di utilizzazione e godimento autonomi, sono capaci di utilità strumentale rispetto al godimento delle unità immobiliari. Per contro, alla comunione rimane estraneo il carattere della strumentalità.

25 Cassazione 18 aprile 2005, n. 8066.

26 Cass. 18.2.2008, n. 3945, che chiarisce come la modalità di costituzione del Supercondominio sia identica. Nello stesso senso Cass. 17556/2014, secondo cui il condominio di edifici sorge ipso iure et facto, senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà, non appena viene in essere la pluralità dei proprietari dell'unità immobiliari facenti parte dell'edificio, momento nel quale le cose ed i servizi comuni dell'edificio diventano beni condominiali ex art. 1117 c. c.. Parla di pleno iure Cass. 23115/2016. Secondo Cass. 1344/2018, Supercondominio e condominio nascono sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomìni, abbiano in comune talune cose, impianti o servizi, legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi. Cass. 3473/2012 individua nell'atto di trasferimento della prima unità immobiliare da parte dell'originario unico proprietario il momento della nascita del condominio. Addirittura, ad evidenziare la rilevanza del dato oggettivo, non richiedendosi la consapevolezza dei condòmini, è stato affermato che l'applicabilità delle norme sul condominio, in dipendenza della consistenza fisica e funzionale di un determinato complesso edilizio, prescinde dalla circostanza che i proprietari delle singole unità immobiliari si siano o meno resi conto della condominialità del fabbricato, nonché dal momento in cui la stessa sia stata espressamente riconosciuta (Cass. 3105/1981). Considera parimenti rilevanti l'elemento oggettivo e quello soggettivo Cass. 4340/2013, secondo cui le disposizioni dettate dall'art. 1136 c.c. in tema di convocazione, costituzione, formazione e calcolo delle maggioranze si applicano con riguardo agli elementi reale e personale del supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le unità abitative comprese nel complesso e da tutti i proprietari.

27 Cass. 29.12.2016, n. 27360.

28 Fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta perpetuatio all'interesse ed alla volontà dei condòmini, non trova applicazione quando risulti, viceversa, una volontà di questi ultimi, espressa con delibera dell'assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell'amministratore, cessato dall'incarico (Cass. 12120/2018).

29 Cass. 5297/14 ha affermato che l'assemblea dei condomini può incaricare l'amministratore di stipulare un determinato contratto, fissando però i limiti precisi dell'attività negoziale da svolgere. In generale, la Suprema Corte ha affermato che l'amministratore del condominio opera in regime di rappresentanza volontaria dei partecipanti al condominio, e come tale è soggetto alla disciplina comune degli artt. 1703 e ss. c.c., applicabile a qualsivoglia mandatario, e a quella specifica dell'art. 1130 c.c., salvo i maggiori poteri che il regolamento di condominio o l'assemblea possono conferirgli ai sensi dell'art. 1131, comma 1 c.c. In tale veste giuridica, pertanto, egli eroga le spese occorrenti (per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e) per l'esercizio dei servizi comuni (art. 1130, comma n. 3 c.c.) (Cass. 8339/2014). La pronuncia, nel cassare con rinvio, enuncia anche il principio di diritto secondo cui "l'amministratore del condominio risponde quale mandatario dell'erogazione della spesa relativa all'esercizio di servizi comuni, indipendentemente dal fatto che questi siano prodotti da impianti a loro volta comuni ad altri condomini, e dalla circostanza che per la loro gestione non sia stato nominato un amministratore della comunione. Pertanto, ai sensi dell'art. 1717, 1° comma c.c., l'amministratore che nell'esecuzione di tale attività di mandato sostituisca altri a se stesso senza esservi autorizzato in forza di un'apposita delibera dell'assemblea condominiale, o senza che ciò sia necessitato dalla natura dell'incarico, risponde dell'operato della persona sostituita, a nulla rilevando che la sostituzione sia conforme a precedenti prassi note ai condomini, trattandosi di circostanza che di per sé non vale ad esprimere la volontà del condominio". Viene dunque negata, in tale situazione, ogni rilevanza a prassi diverse. Sulle problematiche legate al passaggio di consegne, si legga di Rosario Dolce Il passaggio di consegne tra amministratori del condominio di edifici. Modalità, formalità, Condominioweb.com, 2017.

30 Art. 1129, settimo comma, cod. civ.; detto obbligo riguarda l'amministratore e non i condòmini, per cui se non vi è amministratore - perché non ne è obbligatoria la nomina, per esservi otto condòmini o meno - viene meno anche l'obbligo dell'apertura e dell'uso del conto corrente.

31 Comunque ben riepilogati in Compiti, responsabilità, doveri dell'amministratore di condominio, reperibile all'indirizzo https://www.eco-condominio.it/articoli/doveri-amministratore.html. Sommessamente ritengo che la parte più penosa per l'amministratore sia quella di fronteggiare le dispute, a volte le liti, tra i condòmini, sulle questioni più disparate, non sempre di competenza dell'amministratore stesso.

32 Anche se, con circolare 3E del 2.3.2016, l'Agenzia delle Entrate (paragrafo 1.7), ha chiarito che quando il pagamento sia stato effettuato mediante l'apposito bonifico bancario/postale e, quindi, non vi sia stato pregiudizio al rispetto da parte delle banche e di Poste Italiane Spa dell'obbligo di operare la ritenuta disposta dall'art. 25 del D.L. n. 78 del 2010 all'atto dell'accredito del pagamento, si può ritenere che non sia necessario acquisire il codice fiscale del condominio nelle ipotesi in cui i condòmini, non avendo l'obbligo di nominare un amministratore, non vi abbiano provveduto. In tale ipotesi, il bonifico viene eseguito da uno dei condòmini, che avrà anche cura di indicare il proprio personale codice fiscale, mantenendo integro il diritto di tutti i condòmini alle detrazioni pro quota.

33 Pena la nullità delle clausole del regolamento per contrarietà, anche sopravvenuta, a norme inderogabili perché espressive di principi di ordine pubblico (Trib. Cagliari, ord. 22 LUGLIO 2016).

34 Il condomino non può rinunciare al diritto, né tanto meno all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione del bene comune. L'ordinamento vigente prevede differente disciplina in relazione all'impianto di riscaldamento (art. 1118, quarto comma, cod. civ., nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte con la L. 220/2012) per il quale è riconosciuto il diritto del condomino al distacco a condizione che questi dimostri che non derivino notevoli squilibri al funzionamento dell'impianto o aggravi di spesa per gli altri condomini. In altri termini, il condomino che intende distaccarsi deve fornire la prova che dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all'impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condomini, e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare la prova dell'assenza di notevoli squilibri e di assenza di aggravi (Cass. 22285/2016). Anche quando avvenga il distacco, il condomino che lo esegue resta tenuto a partecipare alle spese relative alla manutenzione straordinaria ed alla conservazione dell'impianto; l'esenzione riguarderà le sole spese legate all'uso.

35 A meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti.

36 Giusta l'insegnamento della Suprema Corte, che con la pronuncia 13296/2015 ha affermato che il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell'intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi (Cass. 17115/2011; 3264/2005; 431/1990); la deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell'obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell'obbligo, determinato in base ad una valutazione tecnica; l'atto di approvazione della tabella, che non ha natura negoziale, fa capo ad una documentazione ricognitiva di tale realtà (S.U. 184477/10).

37 Cass. 15042/2013, che riferisce di orientamento costante.

38 Come riferito, con citazione di massime della Suprema Corte, da Carlos Arija Garcia ne La legge per tutti, che può leggersi all'indirizzo https://www.laleggepertutti.it/224460_condominio-chi-paga-il-cappotto.

39 Secondo quanto affermato a Sezioni Unite dalla Corte suprema con la sentenza 9148/2008, citata sopra sub 18.

40 In questi termini, facendo applicazione di principi consolidati e dando conto anche del diritto del creditore, di cui al novellato art. 63 disp. att. cod. civ., di ottenere i dati dei condòmini morosi, Cass. 22856/2017.

41 Cass. 21.10.2011, n. 21907, secondo cui i comproprietari di una unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica ed i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall'art. 1294 c.c., secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume. La pronuncia è anteriore all'entrata in vigore della riforma del condominio.

42 Secondo il brocardo Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

43 Cass. 29.12.2016, n. 27360, sopra citata, che ha ricordato esser possibile la costituzione "ab origine" di un condominio fra fabbricati a sé stanti, aventi in comune solo alcuni elementi, o locali, o servizi o impianti condominiali.

44 Cassazione 28.5.2018, n. 13293, e giurisprudenza ivi richiamata, che ha dichiarato applicabile anche al condominio minimo la disposizione di cui all'art. 1134 cod. civ., riconoscendo il diritto al rimborso in favore del condomino nei confronti dell'altro nel caso di spese urgenti. Cass. 16.4.2018, n. 9280, esclude l'applicazione dell'art. 1110 al condominio minimo. Principio ribadito da Cass. 7457/2015, che però dichiara non applicabili al condominio minimo le norme sul funzionamento dell'assemblea. Più di recente, è stato affermato che nel condominio cd. minimo (formato, cioè da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione) le regole codicistiche sul funzionamento dell'assemblea si applicano allorché l'assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, intendendosi con tale ultima espressione (decisione unanime) quella che sia frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione (essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi presa all'unanimità) (Cass. 2.3.2017, n. 5329). Le sezioni unite avevano in precedenza precisato che anche nel caso di edificio in condominio composto da due soli partecipanti, debbano applicarsi le norme che regolano e disciplinano il condominio negli edifici, sancendo un principio interpretativo di diritto unitario (Cass. SS. UU. 2046/2006).

45 Sarà necessario individuare una figura di facente funzioni (mandatario dei condomini) che si occupi della gestione del fabbricato. Saldare i fornitori, incassare le quote, rendicontare le spese. Senza la presenza di una soggetto fisico, che, adempia alle mansioni evidenziate sarà difficile gestire la quotidianità condominiale: https://www.mapi.it/condominio-senza-amministratore.

46 Essendo undici il numero minimo dei condòmini che, ai sensi dell'art. 1138, rende obbligatoria l'adozione del regolamento. Nove è invece il numero minimo richiesto dall'art. 1129, primo comma, perché l'amministratore debba essere nominato, ad iniziativa dell'assemblea o, in mancanza, dall'autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condòmini o dell'amministratore dimissionario.

47 Alcuni tra i beni indicati nell'art. 1117 cod. civ. possono formare oggetto solamente di godimento paritario e le spese per conservazione e manutenzione devono essere sempre ripartite in proporzione al valore delle quote, ai sensi della prima parte dell'art. 1123 cod. civ.: in tema di condominio negli edifici le parti dell'edificio - muri e tetti (art. 1117 n. 1 cod. civ.) - ovvero le opere ed i manufatti - fognature, canali discarico e simili (art. 1117 n. 3 cod. civ.) - deputati a preservare l'edificio condominiale dagli agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le spese per la cui conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive ai sensi della prima parte dell'art. 1123 cod. civ., e non rientrano, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri (art. 1123, secondo e terzo commi cod. civ.) (Cass. n. 11423 del 1990; Cass. n. 4403 del 1999) (Cass. 64/2013).

48 Pare che nel testo della norma sia stata fedelmente riprodotta la nozione di Supercondominio fatta propria da Cass. 19939/2012, di cui alla nota seguente. Ciò che viene appunto in evidenza è che la citata pronuncia faceva riferimento alla pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomìni, contemplando quindi l'ipotesi che il singolo fabbricato, a sua volta facente parte della pluralità di edifici compresi nella più ampia organizzazione condominiale, non sia esso stesso condominio (quindi, unità monofamiliare oppure unico proprietario); ad essa corrisponde, tra le quattro figure enumerate nell'art. 1117 bis, l'unità immobiliare (sottinteso: singola. Le altre sono l'edificio, il condominio di unità immobiliari ed il condominio di edifici). Può immaginarsi la situazione in cui accanto ad uno o più edifici comprendenti più unità immobiliari ed aventi parti comuni ex art. 1117 cod. civ., vi siano singole unità immobiliari (abitazioni unifamiliari indipendenti) e che tutti gli edifici abbiano beni, impianti e servizi in comune, in regime di accessorietà. Nello stesso senso, la precedente, e già citata, Cass. 4973/2007 che aveva affermato che se l'elemento fondante del diritto di condominio è la "relazione di accessorietà"; e se tale relazione può esistere sia con riferimento ad un solo edificio, che a più edifici, costituenti autonomi condomini; nulla concettualmente osta a che la suddetta relazione di accessorietà sussista anche se uno degli edifici o, al limite entrambi, non siano condomìni; purché si tratti di edifici "autonomi"; in quanto è l'autonomia della costruzione, piuttosto che la "gestione" dell'edificio, che lo stesso art. 61 disp. att. cod. civ. individua come caratteristica rilevante dell'edificio in base alla quale l'art. 62 disp. att. cod. civ. consente l'applicazione delle norme sul condominio alle parti, di cui all'art. 1117, rimaste comuni ai diversi edifici.

49 Cass. 12641/2016.

50 Fatto oggetto di definizione in svariate pronunce della Suprema Corte, tra cui Cass. 19939/2012, secondo cui per supercondominio s'intende la fattispecie legale che si riferisce ad una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni - il viale d'accesso, le zone verdi, l'impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, etc. - in rapporto di accessorietà con fabbricati. Anche solo servizi, secondo Cass. 19799/2014.

51 Ancora Cass. 7.7.2000, n. 9096. Nello stesso senso, anche Cass. 31.1.2008, n. 2305, secondo cui ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 1117 cod. civ. (quali, ad esempio, il viale d'ingresso, l'impianto centrale per il riscaldamento, i locali per la portineria, l'alloggio del portiere), in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando, di conseguenza, a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati la titolarità "pro quota" su tali parti comuni e l'obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione. I beni di cui al n. 1) dell'art. 1117, primo comma, cod. civ., paiono, per loro natura, necessari per l'esistenza del singolo fabbricato, mentre quelli di cui ai nn. 2) e 3) possono essere, a seconda dei casi, condominiali o supercondominiali. Inoltre, secondo Cass. 19799/2014 perché possa parlarsi di Supercondominio, l'unico elemento in comune può essere costituito da servizi, pur in mancanza di beni.

52 In questo senso, Maurizio De Tilla in Sì al "supercondominio" ma "condominio parziale" e "minimo" restano al palo, reperibile all'indirizzo https://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaAlDiritto/civile/civile/primiPiani/2013/06/si-al-supercondominio-ma-condominio-parziale-e-minimo-restano-al-palo.php.

53 Cass. 19799/2014.

54 Cass. 2.3.2007, n. 4973, sopra citata.

55 Cass. 7.7.2000, n. 9096, sopra citata.

56 Cass. 3.10.2003, n. 14791 e, prima, la più volte citata 7.7.2000, n. 9096. Quest'ultima mette in evidenza come questi beni sono sì comuni, ma possiedono autonoma utilità, il che esclude, appunto, la relazione di accessorietà e viene meno anche la ragione che giustifica il ricorso alle norme specifiche sul condominio negli edifici.

57 La cui nomina è obbligatoria pur sempre al raggiungimento del numero minimo di condòmini (più di otto) ex art. 1129 cod. civ., applicandosi anche al Supercondominio, purché compatibili, le norme sul condominio: Cass. 15262/2018.

58 Cass. 6.12.2001, n. 15476, che ha sancito la nullità, per contrarietà a norme imperative, della clausola del regolamento contrattuale che prevede che l'assemblea di un cosiddetto supercondominio sia composta dagli amministratori dei singoli condomini, anziché da tutti i comproprietari degli edifici che lo compongono.

59 Cass. 26.8.2013, n. 19558, che ha sancito che il sistema che si delinea consiste, pertanto, nel separare le situazioni di carattere condominiale da quelle di carattere individuale del singolo condomino e soltanto in ordine alle prime l'amministratore è legittimato ad esercitare le funzioni di rappresentanza; inoltre, la legittimazione degli amministratori degli edifici componenti il supercondominio solo ove ricevano mandato dai singoli condomini. In ogni caso, la legittimazione degli amministratori di ciascun condominio a compiere atti conservati, riconosciuta ex artt. 1130 e 1131 c.c., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di richiedere le necessarie misure cautelari soltanto per i beni comuni all'edificio amministrato, non anche per quelli facenti parte del complesso immobiliare composto di più condomìni, quale accorpamento di due o più singoli condomini per la gestione di beni comuni (ferma l'autonomia amministrativa per i beni propri di ciascun distinto organismo), che deve essere costituito ed amministrato attraverso le deliberazioni dei propri organi (assemblea, composta dai proprietari degli appartamenti che concorrono a formarlo, ed amministratore del supercondominio). Nello stesso senso, già Cass 4.5.1993, n. 5160. Del principio enunciato da Cass. 19558/2013 ha fatto applicazione Corte di appello di Genova, n. 2/2016.

60 Cass. 12.6.2018, n. 15262, che opportunamente invita a distinguere tra atti di amministrazione del condominio singolo ed atti di amministrazione del Supercondominio.

61 Cass. 12.6.2018, n. 15262, sopra citata, chiara e perentoria nell'affermazione del principio.

62 Avvocato del Foro di Palermo. La riproduzione, anche parziale, è consentita alla sola condizione che venga citata la fonte.

Avv. Marcello Giglio - giglioavvmarcello@gmal.com - 3296195097
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